(Ri)nascere al santa Chiara a Trento
"...ma oggi puoi anche sorridere perché è una bellissima giornata"...esclama l'ostetrica rassettando una sala parto al santa Chiara a Trento.
Ho appena partorito il mio quarto figlio e dopo il pelle a pelle e un pisolino ho davanti a me il pranzo, di cui ogni cellula del mio corpo avrebbe un discreto bisogno. Invece mi si è chiuso lo stomaco e, mentre decidevo se avevo più fame o più sonno, sono scoppiata a piangere con un cucchiaio pieno di risotto al radicchio (buonissimo peraltro) sospeso a mezz'aria.
Faccio un salto indietro nel tempo, a quasi esattamente quattro anni prima, in queste stesse sale parto, nasce il nostro secondo figlio, con il mio primo parto naturale. Avevo raccontato quell'esperienza e di quella gravidanza qui.
Facciamo un altro saltello a poco meno di due anni dopo. Non è una sala parto, è una sala operatoria del Centro Gallucci di cardiochirurgia di Padova. Qualcuno sta facendo delle prove appoggiando un piano chirurgico "mobile" sul mio corpo nudo, sento la superficie dell'acciaio sul bacino e le cosce. Anche in quel momento, forse non sembra, ma sto per dare alla luce un bambino. Una luce che non è quella che meriterebbe di questo caldo Ottobre, è la luce fredda della sala operatoria. Tutta quella che illumina, a tratti, il mondo, non la vedrà mai insieme a noi, perché ora è in quell'Altrove che ognuno si chiede cosa sia e dove mi auguro ci sia una Luce perfetta.

foto @Duefili , Giulia Riva
Queste le premesse. A convincere il personale sanitario, oltre al mio desiderio e forte motivazione di tentare un parto naturale dopo due cesarei, ha sicuramente giocato un ruolo chiave il fatto che avessi già partorito naturalmente.
Approfitto di questo spazio virtuale pubblico, per ringraziare e applaudire il lavoro corale del reparto di ostetricia e ginecologia di Trento. Ovviamente ogni storia ed ogni parto sono unici, non ho la pretesa che tutti abbiano l'esperienza migliore della loro vita qui. Però riporto la mia storia con piacere, in una sorta di rielaborazione di quanto accaduto. Era stata proprio una ginecologa, la stessa che poi mi ha quasi letteralmente lanciata in sala parto, ancora prima dell'ecografia morfologica, a chiedermi se, date le circostanze e la mia storia, stessi contemplando l'idea del parto naturale.
Da quel momento mi sono aggrappata a quell'idea, che davvero avrebbe rappresentato per me un momento di alleviamento di una ferita ancora viva e bruciante. La gravidanza è poi proceduta, pur con le tensioni normali e quelle legate al mio vissuto, tranquillamente. Solo nelle ultime settimane un valore di anticorpi verso un sottogruppo sanguigno ha iniziato a scalare verso l'alto fino al punto che, dopo uno scollamento inefficace, la ginecologa ha deciso, collegialmente, di iniziare a fare sul serio con l'induzione. In quei giorni il cesareo, al minimo segnale anche solo vagamente dubbio, incombeva e il personale procedeva con estrema cautela. La cosa che più ho apprezzato nelle cure pre-parto è stato il livello di collaborazione e dialogo di tutto il personale, ogni giorno, non solo per il mio caso, abitudine di prassi del reparto. Ogni giorno, ho scoperto, c'è un momento di riunione per fare il punto delle varie situazioni. Ricordo ancora il mio primo parto, a Bolzano, nel 2016, un cesareo anticipato per una leggera sofferenza fetale, dal momento in cui sono stata ricoverata al parto il giorno succesivo, ad ogni cambio turno mi veniva riferita una storia e conclusioni diverse. Il modo migliore direi, per ansiare una partoriente.
Insomma dopo la rottura delle membrane il mio corpo ed il bambino hanno messo il turbo e nel giro di due ore era tra le mie braccia, dopo essere riuscita a raggiungere la sala parto per un soffio! Subito acclamato dalle ostetriche come il parto migliore del mese 😉 sul momento ero abbastanza frastornata ed assonnata (la notte precedente non avevo dormito granché, nella mia stanza e stato tutto un andare e venire di donne in travaglio), ho avuto bisogno di alcune ore prima di realizzare quello che era accaduto.
Arriviamo ora alle prime settimane a casa. Mentre scrivo ricordo già con nostalgia quel tempo ovattato, del tutto unico nella vita di una donna. Molto faticoso, certo, ma una stato d'esistenza davvero privilegiato in cui accade quel primo legame con un* figli*. Ho sempre avuto l'impressione che dentro a quei giorni post-parto si entri in una dimensione altra, in cui il silenzio si riempie di una energia creatrice pazzesca. Per non parlare della danza scatenata degli ormoni.
In precedenza, col secondo bambino, dopo un paio di settimane avevo realizzato alcune foto in studio. Questa volta non ho avuto nè il tempo nè la voglia. Desideravo tanto ricordare proprio quella SENSAZIONE delle prime settimane, non volevo il quadretto perfetto, volevo RISENTIRE le stesse sensazioni fisiche guardando le fotografie, di cui ti lascio una selezione di seguito:
Le fotografie di questo articolo sono realizzate con ogni genere di mezzo, vanno da una macchina digitale uscita sul mercato l'anno scorso, ad una macchina a pellicola degli anni 60', con un meccanismo di auto-scatto difettoso che sembra di avere un topolino che rosicchia la gamba del tavolo, per finire con una immagine scattata con lo smartphone. Ogni giorno che passa capisco che l'attrezzatura è solo uno strumento per scrivere una storia.
Sono passati due anni e mezzo dall'ultimo neonato fotografato nello studio, era stato un momento speciale, il neonato era il figlio di una amica, il lavoro non centrava. Pochi giorni dopo, in anticipo, è nato Nicholas, vissuto pochi giorni. Ogni volta che penso a cosa rimane della sua vita nel mondo mi rattristo, i suoi fratelli non lo ricorderanno, non hanno notato in queste settimane le somiglianze con lui, i più piccoli non ricorderanno neanche quei giorni e quei mesi che hanno cambiato le nostre vite, o se non cambiato, hanno sicuramente dato loro una forma inaspettata. Forse solo la mia figlia grande ricorderà sprazzi di quei giorni, l'unica tra i figli ad aver avuto la possibilità di elaborare in qualche modo, quello che è successo.
Mi sono da allora sempre più spesso chiesta cosa sono tutte queste piccole nostre vite, che senso abbia il mio fotografare. Ogni tanto mi sorprendo a guardare la luce delle fotografie stampate, nel senso proprio dei fasci di luce che cadono sulle piastrelle, entrano dalla finestra, avvolgono i soggetti. La luce fisicamente è una forma di energia e la luce che c'era in quella x fotografia non è la stessa che c'è oggi nello stesso soggiorno. Nel frattempo l'energia si è trasformata, la materia anche. Anche noi siamo animati dalla stessa energia della luce, che in qualche modo, giorno dopo giorno, continua ad accendersi con ogni alba.
Io faccio fotografie per questo motivo qui, per capire ogni giorno cosa vuol dire che siamo eterni, anche se viviamo un'ora, anche se viviamo cent'anni, anche se viviamo in un sogno.
E credo che verrà il momento in cui fotograferò di nuovo un* neonat* non mio, tornando a quella che originariamente è stata la ragione per la quale ho deciso di intraprendere la professione fotografica. Sono sicura che sarà la famiglia giusta al momento giusto e, la notizia più bella, è che inizio a non vedere l'ora che accada, magari in maniera intima e delicata come le immagini "casalinghe" che ho voluto custodissero i primi giorni di F.