Cover story su Christof Innerhofer – un racconto meravigliato di quando si trova qualcosa che si andava cercando.
Suono il campanello, sono 5 minuti in ritardo perché mi sono persa a Gais. Perdersi a Gais (circa 1.570 anime) non è impresa semplice. Fa capolino Chris, conosciuto tra gli sciatori come il Cigno, per la sua eleganza ed il suo procedere slanciato sugli attrezzi quando scivola a più di un centinaio di kilometri orari per cercare di tagliare il traguardo una manciata di centesimi prima degli altri suoi colleghi.
Come sono finita qui?
In maniera rocambolesca da una chiamata ricevuta il giorno precedente mentre mi trovavo a casa di mia mamma per il ponte di Ognissanti. Prima della chiamata, un messaggio su Instagram di Antonio, che mi spiega di cosa ha bisogno e mi chiede se sono disponibile. Ci piacciamo subito come visione creativa ed operativa, in seguito mi svela di aver contattato altre persone, qualcuno sarebbe andato anche gratis (grazie cari “amanti” della fotografia che ammazzate il mercato). Per fortuna invece Antonio decide di darmi fiducia, fidandosi del suo istinto.
Allora mi tolgo le scarpe, il caminetto scalda molto l’ambiente, fuori le nuvole sono basse e si vede fare capolino la prima neve dell’anno a quote basse, un momento che per gli amanti della stagione fredda ha qualcosa di magico. Adesso il mio compito è essere invisibile, Antonio intervista Chris, io guardo il fuoco e la neve dalla finestra.
Sono proprio io e sono proprio seduta sul divano di Christof Innerhofer, che tifo fin da ragazzina, incollata alla tv, piega su piega.
Una volta finita l’intervista, ci mostra le medaglie olimpiche e di Coppa del Mondo, poi anche la palestrina casalinga ed il muro di scarponi.
Quando parla delle sensazioni delle gare, gli occhi gli brillano e mostrandoci gli scarponi sembra un bambino che mostra la sua bicicletta a chiunque lo voglia ascoltare.
Presto è ora di uscire per andare a caccia dello scatto per la copertina del magazine a cui Antonio Alizzi sta lavorando per conto della casa di cura Rizzola.
Risaliamo una strada fino a giungere al Berggasthof Amaten. C’è un prato dall’altro lato della strada e c’è la nebbia che, è solo questione di minuti, presto lascerà spazio agli inizialmente timidi raggi del sole. Senza perdere troppo tempo fornisco qualche indicazione ad Antonio su come indirizzare il pannello per illuminare il viso di Christof come mi serve. Le condizioni di luce oscillano ogni secondo da “il paradiso del fotografo” a “l’incubo perggiore”. Scatto poco, aspetto IL momento buono, mi muovo e cerco di capire come reagisce il soggetto alla mia presenza ed al mio modo di muovermi.
Sono come una bambina alla fiera con lo zucchero filato in mano, attorno a noi neve, giallo dei larici e verde dell’erba del pascolo creano una palette che mettendoci d’accordo mesi prima, sicuramente non avremmo mai beccato.
Ci spostiamo verso la linea dei larici più vicina e poi verso la stradina, per provare qualche luce e qualche colore diverso. Anche se io, dal momento in cui ho messo giù il telefono dopo il primo colloquio con Antonio, ho una immagine in testa, che so di voler scattare, sarà poi una delle ultime che scatterò ed una delle fotografie che ho scattato nella mia vita alla quale sono più affezionata.
Approfittiamo anche di un quadro naturale dietro all’hotel Amaten.
È arrivato il momento della fotografia che abita la mia testa, propongo a Christof di fermarci ai margini di un fazzoletto di bosco, qua c’è ancora qualche banco di nebbia che indugia. Trovo il punto giusto dove piazzarmi, devo sbrigarmi perché quell’atmosfera magica da leggenda che regna adesso nel bosco, potrebbe svanire da un momento all’altro.
Eccola, quell’istante, quella posizione e quello sguardo che stavo cercando, lampeggiano per qualche breve secondo sul display della macchina fotografia. So già poi come la lavorerò in post-produzione, enfatizzando i colori caldi e la foschia delle nubi basse in ritirata, non del tutto capaci di ostacolare la luce che penetra le fronde.
La parte creativa della mia testa può finalmente tirare un sospiro di sollievo…meravigliosa sensazione di trovare quello che si stava cercando, hai presente?
Scendiamo in macchina ancora di qualche curva e creiamo l’immagine che apre l’articolo nelle pagine del magazine:
Una catasta di legno che ho voluto inquadrare in maniera che potesse rimandare all’idea di casa, accostata alla montagna.
Ed è proprio così, è il momento di tornare a casa adesso, gustare la memoria di questa mattinata un anno dopo, scrivendo questo articolo e apprezzare che quel giorno non è stato un sogno, è successo davvero. Questo è il mio lavoro e nei giorni di Grazia posso affermare senza ombra di dubbio che è il lavoro più bello del mondo.
(TOI,TOI,TOI anche per quest’anno Chris!)
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